domenica 5 dicembre 2010

Il cielo sopra Berlino

"Quando il bambino era bambino, era l’epoca di queste domande:
perché io sono io, e perché non sei tu?
perché sono qui, e perché non sono lì?
quando comincia il tempo, e dove finisce lo spazio?
la vita sotto il sole è forse solo un sogno?
non è solo l’apparenza di un mondo davanti al mondo
quello che vedo, sento e odoro?
c’è veramente il male e gente veramente cattiva?
come può essere che io, che sono io,
non c’ero prima di diventare,
e che, una volta, io, che sono io,
non sarò più quello che sono?"



Il cielo sopra Berlino (Der Himmel über Berlin) è un film del 1987 diretto da Wim Wenders. Il film è ambientato nella Berlino degli anni ottanta prima della fine della Guerra fredda. Due angeli chiamati Damiel (Bruno Ganz) e Cassiel (Otto Sander) vagano nella città come entità invisibili e impercepibili dalla popolazione ed in questa condizione osservano i berlinesi ed ascoltano i pensieri dei passanti. Il loro motivo di vita è quello di vedere, memorizzare e preservare la realtà. Il film non è solo la storia di due angeli ma più in generale è una riflessione sul passato, presente e futuro di Berlino.

La fotografia del film venne seguita da Henri Alekan, il quale utilizzò il colore per le scene con il punto di vista umano e una tinta monocromatica per le scene con il punto di vista degli angeli. L'utilizzo del monocromatico serve per rendere evidente la condizione degli angeli, esseri che possono sentire i pensieri più reconditi degli uomini, ma allo stesso tempo limitati da non poter vedere i colori, sentire i sapori e tutte le sensazioni che un essere umano apprezza quotidianamente.





Curt Bois e Otto Sander in una scena di IL CIELO SOPRA BERLINO



Curt Bois in una scena di IL CIELO SOPRA BERLINO

"Sì è magnifico vivere di solo spirito, e giorno dopo giorno testimoniare alla gente, per l'eternità, soltanto ciò che è spirituale. Ma a volte la mia eterna esistenza spirituale mi pesa. E allora non vorrei più fluttuare così, in eterno: vorrei sentire un peso dentro di me, che mi levi questa infinitezza legandomi in qualche modo alla terra, a ogni passo, a ogni colpo di vento. Vorrei poter dire: "ora", "ora", e "ora". E non più "da sempre", "in eterno".

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